Assemblea Transterritoriale Transfemminista Antispecista NON UNƏ Dİ MENO

PRATICHE PER STARE BENE, USCIRE DALLE DINAMICHE DI POTERE DELLA SOCIETÀ CAPITALISTA E PATRIARCALE E CONTRASTARE LA VIOLENZA E L’OPPRESSIONE SISTEMICA

Proponiamo un canovaccio di base per una discussione che continui sia nell’assemblea di Corpi e Terra che nelle laboratorie che verranno proposte da chi abbia voglia di lavorarci.

Come assemblea ci piacerebbe raccogliere commenti, riflessioni e proposte

Inviare a retecorpieterranudm@gmail.com

Pensiamo non sia utopistico rendere gli spazi che attraversiamo “+ sicuri”, cercando di prevenire e contrastare qualsiasi comportamento oppressivo e violento. È possibile però che tali comportamenti si verifichino anche se collettivamente lavoriamo per evitarli.

Non esistono violenze o aggressioni “piccole” e “grandi”. La violenza patriarcale è violenza in tutte le sue forme. Le molestie, gli abusi, gli stupri non hanno gerarchie di gravità e sono tutte violenze che hanno radici nella cultura ciseteropatriarcale che vogliamo distruggere. 

Quello che proponiamo non è un ricettario, né un protocollo rigido che indica una unica via possibile ma vuol essere stimolo a momenti collettivi di approfondimento e analisi per avviare pratiche di un cambiamento reale e profondo, rivoluzionario e antagonista a questo sistema. Sistema che ha trovato come unica risposta la giustizia punitiva del carcere e dell’esclusione e che, invece di offrire alternative, acutizza e ripropone come soluzione la stessa violenza strutturale.

Vogliamo immaginare altre strade possibili, altre pratiche che partano dal fare comunità, dal decostruire quel patriarcato radicato non solo nel sistema ma anche in ogni singola persona che in questo sistema nasce, cresce, vive e muore. 

Immaginiamo spazi attraversati da persone con una co-responsabilità attiva per condividere ambienti “+ sicuri” e di “rispetto”reciproco. Vogliamo sentirci liberə di attraversare e vivere gli spazi che attraversiamo come siamo, evitando prevaricazioni e l’assunzione di atteggiamenti, comportamenti o linguaggi violenti, che possano causare disagi, traumi, dolori e sofferenze alle persone con cui entriamo in relazione. 

Luoghi dove non ci sia spazio per comportamenti discriminanti, gerarchici, oppressivi, nei confronti di tutte le soggettività. Siamo tuttu soggettività nelle nostre diversità. Ognunə di noi è tenutə a rispettare i confini emotivi e fisici, i bisogni, le espressioni e i tempi dellu altru. 

Nel  tentare di nominare tutte le oppressioni abbiamo la consapevolezza di correre il rischio di lasciare fuori qualcosa. Eppure nominare è importante per creare l’immaginario di ciò di cui stiamo parlando, per renderlo reale, esistente. 

Da GIUSTIZIA PUNITIVA a GIUSTIZIA TRASFORMATIVA : un percorso che ci convince con la consapevolezza delle sue criticità

Ci convince perché offre la speranza politica di poter partire da un posizionamento anticarcerario e antipunitivo per sperimentare pratiche di giustizia trasformativa rispetto alla violenza patriarcale e macista.

Il carcere, l’isolamento, la mancanza di percorsi volontari di presa di coscienza (attualmente attraversati solo per uno sconto di pena e avulsi dal contesto comunitario) non portano ad una reale trasformazione. 

Siamo continuamente espostu a una rabbia che si fa richiesta di vendetta (giustizialismo/clima inquisitorio/caccia alle stregh3), sostenuta anche dalle scelte legislative dell’attuale governo.

Al grido di chi invoca evirazioni e celle di cui si butta la chiave, corrisponde l’approvazione del decreto cosiddetto Caivano (15 settembre 2023 n. 123) “Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale”.

Si criminalizzano intere fasce d’età come se sbattere in carcere un ragazzo sedicenne ed esporlo a sicure violenze o a isolamento potesse servire a cambiare le radici del danno agito.

Criticità emerse: 

  • Può una persona realmente motivata trasformarsi in questo senso, dopo aver riconosciuto il danno (comprendere i propri errori ed essere disposta a cambiare), senza che questo sia legato a un percorso reale e non all’obiettivo di vedersi ridotta la pena? 
  • L’allontanamento, l’espulsione, l’isolamento, l’allontanamento sono comunque necessari? temporanei? quando? quanto? 
  • Come intervenire sul contesto giustificatorio, sulle narrazioni tossiche e sulla costante vittimizzazione delle persone abusate: “Mi ha provocato”, “è stato l’alcool”, “non ci ha visto più dalla rabbia”,”l’amava troppo”, “mi ha tradito”, “se ne voleva andare di casa e voleva il divorzio”, “non poteva che essere mia” ?  
  • Come costruire comunità intersezionali basate su consenso, cura e fiducia? Cosa intendiamo per consenso in generale e all’interno della comunità?
  • Come favorire una trasformazione delle relazioni basate sul riconoscimento dell’autodeterminazione?
  • Come esplicitare il posizionamento di tutte le soggettività al fine di contrastare il sistema mondo e ogni forma di oppressione sistemica?
  • Ci possono essere percorsi diversi in contesti diversi? In quale contesto l’esclusione è uno strumento utile e in quale un fallimento? 
  • Denuncia e non denuncia. Ognuna di queste strade ha criticità. Come accogliere i percorsi diversi scelti?
  • Le responsabilità sono anche collettive. Come riconoscere i comportamenti oppressivi, violenti e sistemici? Che fare per contrastarli?
  • Come favorire la disponibilità a un lavoro individuale su se stessi in un contesto comunitario?
  • Quali i processi formativi e l’accessibilità ai percorsi?

COMUNITÀ E PRATICHE COMUNITARIE

Cos’è comunità? E le comunità nel mondo che viviamo, tra le frammentate urbanizzazioni e i quasi abbandonati territori rurali, esistono o sono state in questa parte di mondo distrutte senza poter essere ricostruite? 

Ecovillaggi, comuni e stili di vita alternativi, in Italia e nel mondo, ce ne sono molti ma sono situazioni che non trovano grossa divulgazione. La narrazione dominante afferma che non ci siano alternative valide ma ciò è falso. Gli spazi queer e trasfemministi sono comunità politicizzate, anche molto diverse fra loro, ma che hanno in comune con le altre una forte spinta anticapitalista e un ritorno ad una socialità fatta di dialogo e non di imposizioni.

Fare comunità è anche mobilitarsi per allearsi con chi i privilegi non li ha (a Glasgow un intero quartiere si è mobilitato per impedire una deportazione). Le comunità escludenti generano danni.

Comunità è un insieme di soggettività che praticano il mutuo aiuto e la complicità intersezionale  fondandosi sui principi di consenso, cura e fiducia, da ciascunu secondo le sue possibilità e a ciascunu secondo i suoi bisogni; la complicità si costruisce a partire dal proprio posizionamento, tra privilegi da mobilitare e decostruire e marginalità da rendere forza collettiva. 

RETE PER LA GIUSTIZIA TRASFORMATIVA

Da più parte registriamo l’esigenza di fare rete per scambiarci pratiche, esperienze, criticità ed emozioni su percorsi o avvio di percorsi che possano definirsi di giustizia trasformativa. Necessari sono i centri antiviolenza  strutturali per persone queer e per persone razzializzate.

CONSENSO: Ogni relazione si basa sul consenso esplicito! 

Solo SÌ è SÍ … ED É REVERSIBILE.

COSA INTENDIAMO PER:

  • COMPORTAMENTI RAZZISTI, COLONIALIe XENODIANTI.

Nel sistema coloniale e suprematista bianco da cui derivano razzismo e colonialismo, vengono attuate più gerarchizzazioni. La gente bianca ed occidentale viene rappresentata come la norma dominante (implicitamente o meno). Questa dominazione, perpetuata da sistemi discriminanti, oppressivi, schiavisti e violenti, si esprime in molteplici modi (attraverso il linguaggio, le discriminazioni nell’occupazione, nell’alloggio, nella salute, nella libertà di movimento, …). Si traduce in particolare nel godimento e non riconoscimento dei privilegi da parte delle persone bianche. Riconoscere il razzismo interiorizzato e comportarsi di conseguenza nelle relazioni che viviamo: prestare attenzione alla presenza o meno di persone razializzate, facilitare spazi di ascolto e di intervento di voci diverse, curare l’accessibilità, riconoscere i limiti del proprio posizionamento, non prendere parola al posto di, non sovradeterminare., Importante è intercettare reti esistenti e creare complicità e alleanza, mettere a servizio i propri privilegi. 

  • COMPORTAMENTI ABILISTI.

Si erigono i corpi validi e la neurotipia (funzionamento neurologico considerato normale) a norma vigente. Qualsiasi diversità sensoriale, cognitiva, psichica, motoria e anche l’impossibilità di riprodursi, sono presentate da secoli come mancanze e disfunzioni. Si cerca allora di escludere o di “riparare” corpi e  menti considerati malati piuttosto che adattare la società alle loro specificità, bisogni e desideri. Appropriarsi del linguaggio patologizzante e psichiatrizzante è pratica offensiva, discriminante e per questo violenta. 

  • COMPORTAMENTI CISETEROSESSISTI E LGBPTQIANBK-ODIANTI.

Nel sistema capitalista eterocispatriarcale vengono attuate sistematicamente gerarchizzazione e distinzione binaria tra uomini/donne, etero/non etero e tra uomini- donne/altri generi. Il maschio etero gode di privilegi e “deve” incorporare la norma dominante. Una dominazione che si esprime attraverso il linguaggio, gli stupri, lo sfruttamento dei corpi, i femminicidi, i transcidi, le molestie, le violenze fisiche e psicologiche. L’assegnazione del sesso/genere alla nascita, per nulla necessario, si traduce sistematicamente nell’assegnazione di ruoli riproduttivi e di cura imposti, e su base gratuita, per le donne e le persone femminilizzate e si concretizza nei gap salariali, nella psichiatrizzazione e patologizzazione di chi si sottrae alle norme eterocisbinarie e in tutte le discriminazioni fondate sul genere.

  • COMPORTAMENTI PUTTANODIANTI 

Violenza è la stigmatizzazione e la criminalizzazione di chiunque si ritrovi a vendere prestazioni sessuali – che sia per scelta, per costrizione o più semplicemente per circostanze di vita. La violenza contro chi fa il lavoro sessuale è parte integrante della violenza patriarcale, sessista, transfobica e razzista. Criminalizzare questa attività, rafforzare le leggi che controllano e reprimono il lavoro sessuale, con multe o ordinanze, non fa che rendere le persone che svolgono questo lavoro più precarie, povere e sfruttabili.

  • COMPORTAMENTI GRASSO/MAGRODIANTI

Il grassodio è una violenza strutturale che ha gravi conseguenze su tutti i piani della vita (salute, lavoro, relazioni interpersonali, …)

Molte persone grasse subiscono violenza dal sistema sanitario perché diverse diagnosi di malattie, anche molto gravi, o non vengono eseguite o vengono ricondotte esclusivamente alla grassezza in sè. Inoltre, nei percorsi di affermazione di genere, gli interventi e gli ormoni vengono rifiutati se non si rientra dentro ai parametri di “massa corporea” stabiliti.

Il grasso viene considerato una malattia (obesità) dalla quale si può “scegliere” di “guarire” mentre è noto che la maggior parte delle diete fallisce nel 90-95% dei casi (Elisa Manici “Grass*”, Eris edizioni). Questa presunta incapacità di assumere delle diete viene ricondotta e imputata ad una mancanza di volontà anziché analizzare la fallacia della cultura delle diete e i numerosi effetti collaterali fisici e psicologici che spalancano le porte ai disturbi alimentari e fisico-metabolici.

Questa stigmatizzazione genera esclusioni e maltrattamenti nel mercato del lavoro (preclusione e pregiudizi sia estetici sia relativi alla prestazione lavorativa) e nelle relazioni interpersonali e sessuoaffettive (ipersessualizzazione e feticizzazione da un lato, fame inestinguibile sia di cibo che di sesso, dall’altro; desessualizzazione ossia l’essere considerat inscopabil3 secondo i canoni ciseteropatriarcali).  L’introduzione del concetto di “giusta forma” come norma estetica e funzionale imposta, legittima questi atteggiamenti discriminatori. 

Seppur con dinamiche diverse, anche le persone ritenute “estremamente magre” sono sottoposte ad un controllo e giudizio sul proprio corpo discriminante e violento. 

  • COMPORTAMENTI CLASSISTI

Nel sistema capitalista, il classismo può esprimersi sotto forma di pregiudizio e discriminazione in base alla classe sociale di provenienza o di appartenenza, al reddito e al grado di scolarizzazione. Un alto livello di istruzione si accompagna spesso ad uno status sociale più elevato capace di influenzare leggi e regole sociali mentre le persone meno abbienti o meno scolarizzate sono spesso relegate a ruoli marginali, meno riconosciuti, ricattabili e spesso sottopagati.

Se una persona attanagliata da problemi sociali ed economici non si riconosce in un momento collettivo, è bene non giudicarla col metro del buon o cattiv attivista. Evidentemente non è nella situazione comoda per potersi esprimere.

  • COMPORTAMENTI VEGANTISPEODIANTI

Ritenere che l’autodefinitosi “Homo Sapiens” abbia il diritto di dominare tutte le altre individualità che abitano il pianeta a proprio uso e consumo (e quindi di allevare, far riprodurre, ingabbiare, uccidere, manipolare geneticamente, sfruttare) è una posizione specista. Il pianeta non è nostro ma lo abitiamo. Nessun corpo, né l’aria, né le foreste, né la terra, né l’acqua, possono essere considerate “risorse” a disposizione. I comportamenti vegantispeodianti sono quei comportamenti gestuali e/o verbali che esprimono disagio, fastidio, odio, arroganza, minimizzazione, derisione verso l’espressione di posizionamenti antispecisti e vegani. Il pensiero antispecista non è per ora assunto diffusamente nei movimenti ma non può essere per questo marginalizzato né si possono attuare pratiche che tendono a nasconderlo, invisibilizzarlo o, addirittura, censurarlo. 

  • COMPORTAMENTI ETAISTI

Non c’è corpo che, a partire dal desiderio di farlo, non trovi la sua strada per partecipare attivamente a un movimento politico dove per attivamente si intende qualsiasi livello di partecipazione in termini di tempo, contributo, passione. Il riconoscimento di un pieno diritto di partecipazione ed espressione vale per ogni età della nostra vita, per ribaltare quell’immaginario per cui si possa essere attivistx solo nella prima parte della vita per poi scivolare man mano nell’inattivismo politico a causa del lavoro, famiglia, casa, figliolanza etc. Anche nella vita di ogni attivista le tappe delle età sono spesso segnate dal farsi accettare nella prima parte, riprodursi nella seconda, crescere figliolanza e prendersi cura delle persone anziane nella terza, per poi, nella quarta, occuparsi della figliolanza della figliolanza. Senza salario domestico, senza riconoscimento, un destino dato e quasi mai messo in discussione, a volte neppure nelle nostre meravigliose sfamiglie queer.

  • COMPORTAMENTI PERFORMANTI (MILITANTOMETRO)

Se una persona non desidera partecipare a un momento collettivo, se si sente disabilizzata, se non ha sufficienti possibilità economiche per gli spostamenti, se si sente invisibilizzata o censurata, il problema non è suo ma delle pratiche di attivismo messe in campo. Evidentemente non si attuano situazioni comode per dare la possibilità a tuttx di potersi esprimere. 

PERCORSI E PRATICHE POSSIBILI PER PREVENIRE VIOLENZA O OPPRESSIONE

PRATICHE DI CONDIVISIONE DEL PRIVILEGIO BIANCO/OCCIDENTALE

  • contratti di lavoro da privat cittadin
  • residenza presso il proprio domicilio attraverso la dichiarazione di ospitalità
  • accompagnamento ai confini
  • supporto logistico alle iniziative di autoreddito
  • formazione attraverso la partecipazione a progetti (How to start seeing colours,…)
  • supporto burocratico e legale per i documenti e le pratiche sanitarie
  • matrimonio/unione civile per ottenere permessi di soggiorno

PRATICHE ANTIABILISTE

  • Visibilizzare e confrontarsi con le pratiche antiabiliste elaborate dall’attivismo crip.
  • Organizzare collegamenti on line per assemblee e altri momenti collettivi.
  • Scegliere, per quanto riguarda i cortei, i presidi e le varie azioni di protesta percorsi accessibili (architettonicamente e non solo) e condividere informazioni prima e in itinere su rumore, luci e sul percorso indicando punti d’acqua, bagni pubblici e zone riparate; predisporre coperte, materassini, fidget toys, tappi e mini farmacia; collegamenti in diretta on line per dare possibilità di partecipazione da remoto; organizzare zone di decompressione durante il percorso e zone di partecipazione facilitata all’interno del corteo (per persone disabili e famiglie con bimbu)
  • Non usare un linguaggio patologizzante e psichiatrizzante
  • Cercare di non avere comportamenti infantilizzanti e/o che sovradeterminano bisogni e desideri delle persone disabili.

PRATICHE PER COMBATTERE E NON PERPETUARE COMPORTAMENTI GRASSO o MAGRODIANTI

  • fare attenzione al linguaggio: i commenti sul peso, sulla forma, e sui cambiamenti del corpo di qualcunx altrx non sono richiesti. 
  • Cercare di decostruire quei modi di dire/espressioni/perifrasi che sono grassodianti/magrodianti e che rivolgiamo spesso anche al nostro corpo.
  • I cambiamenti del proprio corpo possono comunque creare disagio, è opportuno costruire degli spazi in cui poterne parlare senza giudizio, se si desidera farlo. Predisporre spazi fisicamente attraversabili con agio per tutti i tipi di corpi (no corridoi stretti, no sempre tuttx sedutx per terra o sempre in piedi, sedie con i braccioli, ecc.).

PRATICHE PER FACILITARE L’INTERGENERAZIONALITÀ NEI MOVIMENTI E PREVENIRE COMPORTMENTI ETAISTI

  • decostruire, nella relazione con persone piccole o molto giovani, l’idea che non abbiano il diritto di autodeterminarsi nelle scelte, nei loro posizionamenti e nelle esperienze necessarie a fare delle scelte. 
  • evitare la boomerizzazione nei confronti delle persone che per percorsi, esperienza di vita, assenza di privilegio e altro non possano o vogliano condividere l’utilizzo di determinati strumenti. 
  • Assumere per quanto possibile i percorsi di vita come non lineari e rigidamente indirizzati dal punto N (nascita) al punto M (morte) ma come un complesso procedere, fermarsi, lasciar andare, tornare, transformarsi, modificarsi, contaminarsi, toccarsi, ascoltarsi in forme fluide e rispettose dove non sono più le  tappe imposte dal sistema a decidere ma il nostro sentire. 

PRATICHE PER EVITARE COMPORTAMENTI VEG-ANTISPEODIANTI

  • L’incontro con il pensiero e le pratiche antispeciste si fa sempre più quotidiano per cui la curiosità e la disponibilità all’ascolto e al dialogo si fa assolutamente necessaria.
  • Approfondire il concetto di relazione multispecie/interspecie è possibile.
  • Costruirei comunità antispeciste e decostruire le gerarchie di potere 
  • Affrontare il nodo del riconoscimento del privilegio di specie e delle pratiche possibili per la sua decostruzione 
  • Ricostruire un equilibrio ecologico su questo pianeta è un nostro lavoro in un’ottica di decrescita riproduttiva e produttiva all’interno dei “luoghi comuni” che attraversiamo.
  • Contrastare il terricidio! 
  • Evitare commenti di derisione, infantilizzazione, sottovalutazione e stigmatizzazione delle persone che vivono questa lotta.
  • Nei momenti conviviali, pubblici e di gruppo (eventi, assemblee, manifestazioni, etc) in cui si preveda il consumo di cibo offrirne di solo vegano non è una concessione ma significa assumere, anche solo simbolicamente, il problema del dominio dell’umano su ogni altra specie.

PRATICHE PER EVITARE COMPORTANMENTI CISETEROSESSISTI E TRANSODIANDI O LGBPTQIAnbK-odianti

  • Evitiamo di dare per scontato l’orientamento relazionale, affettivo e/o sessuale, l’identità di genere e/o transgenere, i pronomi e le declinazioni di genere, le storie e le esperienze delle altre persone. 
  • Chiedere e usare il pronome e/o la declinazione di genere che ogni persona sceglie è la prima forma di rispetto. 

PRATICHE POSSIBILI nei MOVIMENTI 

  • Segnalare con cartelli/grafiche/striscioni chiari ed efficaci, l’attenzione dello spazio alla prevenzione e al contrasto delle violenze e delle oppressioni, tipo: “In questo spazio non sono ammessi comportamenti sessisti, razzisti, abilisti, etaisti, veg-antispeodianti, grasso-magrodianti, puttanodianti, ….
  • Prevedere spazi di decompressione per chi ha il bisogno di interrompere l’attività a cui sta partecipando 
  • Prevedere negli eventi dei PUNTI FUCSIA in cui ci siano persone pronte ad ascoltare e a raccogliere i bisogni e i desideri della/e persona/e che ha/hanno subito uno o più comportamenti oppressivi e/o violenti avviando insieme delle pratiche più adeguate al contesto.
  • Segnalare costantemente al microfono in dotazione, attraverso pratiche comunicative efficaci e creative, il luogo del punto fucsia, a cosa serve e che nello spazio è ammesso tutto quello su cui le persone coinvolte esprimono consenso.   
  • Uscire dalla bolla e dalla comodità delle nostre assemblee e attraversare i quartieri, i territori che abitiamo, mai da solə, ma con un’occupazione di spazio collettivo: passeggiate rumorose, frocessioni, cerchi di parola in piazza, megafonate, lettering, striscionate, segnalazione di luoghi, ecc.  
  • In caso di violenze durante un evento sarebbe importante richiedere che lo spazio  sospenda le attività che sta svolgendo per affrontare collettivamente la situazione garantendo ovviamente l’anonimato, se richiesto, da parte di chi ha subito violenza. Sospensione dell’evento per il tempo necessario o completamente per assenza delle condizioni fondamentali per il suo svolgimento. Evitare la normalizzazione, silenziazione, invisibilizzazione delle pratiche violente per la paura che ci vada di mezzo la credibilità dello spazio. Uno spazio diventa non credibile proprio quando non affronta collettivamente un danno. Ci si può riservare come ultima risorsa l’opzione di un’esclusione temporanea della persona che ha agito il danno e del gruppo con cui è in relazione, mantenendo però i contatti perché possano essere comunicate le scelte decise collettivamente. Costruiamo percorsi comunitari che affrontino ciò che succede attraverso un percorso di giustizia trasformativa. È importante che la persona che ha agito il danno sia messa in grado di riconoscerlo collettivamente, di avviare un percorso di decostruzione individuale, di partecipare a seconda delle scelte ad un eventuale percorso collettivo di trasformazione.  
  • Prevediamo spazi di cura e di tematizzazione della cura. Politicizziamo il riposo e l’antiproduttivismo. 
  • Facilitiamo il ricevere/formulare critiche; ricevere/dare feedback; esplicitare momenti di attraversamento/espressione del confitto. “Come pensiamo di cambiare il mondo se non riusciamo neanche a gestire un conflitto interno?”
  • Comunicare i propri trigger warning, esplicitare il perché della propria comunicazione.

PRATICHE ASSEMBLEARI

  • Programmiamo insieme la scelta di data e orario di un’assemblea, una pratica che è già parte del processo collettivo di costruzione e favoriamo soluzioni che facilitino la partecipazione del maggior numero di persone anche ruotando tra i giorni e i luoghi delle assemblee e riunendosi anche on line.
  • Costruiamo insieme la lista dei punti di cui parlare (odg) e dell’ordine in cui parlarne, all’inizio dell’assemblea una volta raccolte le proposte nei giorni precedenti senza censure e/o sovradeterminazioni. 
  • Facilitiamo le modalità assembleari attraversoun gruppo o persona, a seconda della grandezza e durata dell’assemblea, che gestisca il flusso degli interventi, la focalizzazione sugli obiettivi condivisi e il processo di assunzione delle decisione; chiediamo la disponibilità di una persona che prenda gli interventi, una/due che facciano il report (a rotazione), una persona che controlli i tempi (se necessario) degli interventi e dell’assemblea. 
  • Presentiamoci con i pronomi e le desinenze scelte da ogni singola persona perché estremamente importante.
  • Facciamo attenzione che il linguaggio usato includa sempre anche le desinenze non binarie ə, u o il troncamento perché in questo modo riconosciamo i generi binari, per altro già riconosciuti, e anche i transgeneri non binari.
  • Condividiamo i gesti che consentono di esprimere il proprio pensiero all’assemblea senza interrompere chi sta parlando: mani in alto per accordo, mani incrociate per bloccare una decisione, mani in basso per disaccordo, freno a mano per linguaggi offensivi e/o no rispettosi, rotolo di mani se si stanno ripetendo concetti già espressi, mani a T per intervento tecnico urgente, una mano verso l’alto per alzare la voce, mano a cerchio sulla faccia se non si è d’accordo ma non si blocca la decisione. 
  • Definiamo un orario di inizio e di fine di ogni riunione. Rispettare i tempi è importante per chi non ha il privilegio di avere tutto il tempo a disposizione e magari se lo ritaglia proprio per il desiderio di partecipare.
  • Teniamo in considerazione la stanchezza e la distrazione nella conduzione collettiva della riunione.
  • Chiediamo la parola e aspettiamo il proprio turno, 
  • Favoriamo l’intervento di chi non ha parlato anche con pratiche diverse da quelle verbali.
  • Non interrompiamo ma usiamo gesti per esprimere i nostri vari posizionamenti (accordo, rispetto, etc) 
  • Rispettiamo, accogliamo e sperimentiamo le diversità di pratiche, analisi e proposte che sono una ricchezza del movimento e non un problema: questo non allontana, né esclude né crea insoddisfazione
  • Pratichiamo l’ascolto attivo perché ogni riflessione ha valore e stiamo in assemblea non per far passare le nostre posizioni ma per costruire collettivamente un percorso
  • Valorizziamo emozioni, sentimenti, sensazioni e disagi che possono essere condivisi, se lo si desidera.
  • Esplicitiamo le proposte in modo che le decisioni assunte per il consenso siano chiare nella loro formulazione prima della fine della riunione e l’espressione del consenso sia palese.
  • Prevediamo spazi di decompressione per le persone neurodivergenti e disabilizzate
  • Creiamo supporti visuali. Ad es. segnare parole chiave
  • Prevediamo pratiche più laboratoriali per integrare i momenti discorsivi con modalità altre (es. disegnare, giocare, cantare, creare cartelloni, etc.)                
  • Integriamo il più possibile e in modo sempre più pervasivo l’uso della LIS
  • Curiamo collettivamente l’accessibilità degli spazi anche con i collegamenti on line
  • Alleniamoci a depotenziare e spogliarci dei giudizi sulle modalità espressive delle persone (es. modalità contatto visivo, balbuzie, tic di varia natura, etc.)
  • Attenzioniamo i rumori di sottofondo e capiamo, ad inizio assemblea, chi ha bisogno di cosa.
  • Facciamo in modo che le pratiche assembleari consensuate siano sintetizzate in materiali scritti e riaggiornati periodicamente per restare a disposizione delle persone che arrivano successivamente in assemblea.
  • Avvisiamose quello che si sta per dire può far rivivere un trauma a chi l’ha subito o alle altre persone (T.W. trigger warning)  
  • Prestiamo attenzione ad occupare gli spazi di parola e alla comunicazione violenta.
  • Promuoviamo laboratorie sulla comunicazione non violenta.
  • Identifichiamo e decostruiamo pratiche di potere.
  • Prevediamo più momenti di pausa, di check in e check out: giro di presentazioni con esternazione dei sentimenti del momento, critica o autocritica finali, riflessioni molte brevi su come ci si è sentit dopo l’assemblea.

PAROLE USATE IN QUESTO TESTO:

  • Ci riappropriamo delle parole “sicuro” e “rispetto” nella loro accezione comunitaria.
  • Usiamo la parola ETAISMO al posto di “AGEISMO” che ci sembra possa creare una inopportuna separazione e distanza, non solo linguistiche.
  • Terricidio è la parola che abbiamo assunto nell’alleanza dichiarata con il movimento mujeres y disidencia por el buen vivir nell’assemblea finale della campeggia 2020 da loro organizzata in territorio mapuche.
  • Ci piace la definizione di Giusi Palomba che sostituisce aggressore con “persona che ha agito il danno” e vittima con “persona sopravvivente”. 

Riferimenti dell’assemblea transterritoriale Corpi e Terra di Non unə di meno:

Contatto retecorpieterranudm@gmail.com

BLOG  https://assembleacorpieterra.com

FB https://www.facebook.com/ecotransfemminismomultispecie

twitter https://twitter.com/corpieterranudm 

Instagram https://www.instagram.com/assemblea_corpi_e_terra/ 

radioattiv3 in TRANSfemmİNonda e QUEERzionario

https://radiosonar.net/podcastfilter/libere-soggettivita/

Una replica a “PRATICHE PER STARE BENE, USCIRE DALLE DINAMICHE DI POTERE DELLA SOCIETÀ CAPITALISTA E PATRIARCALE E CONTRASTARE LA VIOLENZA E L’OPPRESSIONE SISTEMICA”

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